Quale esperienza dentro il cammino sinodale
Vivere un cammino sinodale dopo due anni di emergenza pandemica non è certo cosa facile. La Chiesa è chiamata a mettersi in ascolto di sé stessa e della società in cui opera proprio nel momento in cui la prossimità, le occasioni di condivisione, l’esperienza comunitaria sono fortemente condizionata dalle inevitabili paure che hanno caratterizzato e stanno ancora caratterizzando questi mesi.
Eppure nessun tempo è inadatto, nessun ascolto è inopportuno. Proprio nella fase più acuta della pandemia, con il divieto delle celebrazioni con partecipazione di popolo, con il Papa riferimento spirituale e ancoraggio dei vuoti esistenziali che si andavano vivendo, la Chiesa è stata chiamata a reinterpretarsi: Chiese chiuse, momenti di comunione fraterna “virtuali”, ma forse proprio alla luce di questi ostacoli si è stati in grado di allargare gli orizzonti e comprendere con maggiore pienezza l’invito che proprio Papa Francesco aveva fatto sin dall’inizio del suo pontificato di una Chiesa in uscita (EG 24).
Ecco che allora, proprio nello spirito dell’Evangelii gaudium, la Chiesa sinodale deve sapersi riconoscere come Chiesa in uscita, Chiesa dinamica, di prossimità; Chiesa in ascolto. In ascolto dello Spirito che opera al suo interno, che opera ai crocicchi della strade e che tante volte, troppe volte, rischia di rimanere escluso dal cammino comunitario.
È l’esperienza della centralità del primo annuncio: è da lì che la Chiesa in uscita, la Chiesa in ascolto può imparare a reinterpretare sé stessa al servizio dell’uomo. Come sottolinea il Santo Padre al n.160 dell’Evangelii gaudium «L’evangelizzazione cerca anche la crescita, il che implica prendere molto sul serio ogni persona e il progetto che il Signore ha su di essa. Ciascun essere umano ha sempre di più bisogno di Cristo, e l’evangelizzazione non dovrebbe consentire che qualcuno si accontenti di poco». Mettersi in ascolto delle persone per ascoltare la voce di Dio che ci parla. Lo fa nella forma sacramentale ma lo fa ancora oggi nell’incontro con le storie personali di ciascuno: “Shemà, Israel!” (Dt 6,4). La Chiesa in ascolto del popolo è l’esempio affinché il popolo torni ad ascoltare il Signore. Mettersi in ascolto non significa quindi preoccuparsi solo e soltanto della formazione dottrinale, si tratta piuttosto – evidenzia ancora Papa Francesco – «di “osservare” quello che il Signore ci ha indicato, come risposta al suo amore, dove risalta, insieme a tutte le virtù, quel comandamento nuovo che è il primo, il più grande, quello che meglio ci identifica come discepoli: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12)» (EG 161).
Ecco che allora la Chiesa che nella pandemia ha saputo reinterpretarsi è già una Chiesa che ha colto lo spirito dell’esperienza sinodale. La Chiesa in uscita che ha fatto “esperienza di umanità”, per rievocare un’espressione cara a San Paolo VI (PP 13).
Ma questo cammino di ricerca dell’azione di Dio nel mondo che la Chiesa è chiamata a riconoscere è un cammino che parte dal dono di grazia della fede. Questo è l’altro punto qualificante di questo cammino a cui siamo chiamati, si tratta di riconoscere che «questo cammino di risposta e di crescita è sempre preceduto dal dono, perché lo precede quell’altra richiesta del Signore: “battezzandole nel nome…” (Mt 28,19). L’adozione a figli che il Padre regala gratuitamente e l’iniziativa del dono della sua grazia (cfr Ef 2,8-9; 1 Cor 4,7) sono la condizione di possibilità di questa santificazione permanente che piace a Dio e gli dà gloria. Si tratta di lasciarsi trasformare in Cristo per una progressiva vita “secondo lo Spirito” (Rm 8,5)» (EG 162).
Il cammino sinodale non è dunque l’esercizio burocratico e piramidale di un’esperienza formale di raccoglimento di idee, è un’esperienza dinamica nella quale ciascun cristiano è chiamato ad interrogarsi per comprendere il senso pieno della speranza a cui è chiamato (Ef 4,1-32). Siamo chiamati a riscoprire il senso profondo e la bellezza del primo annuncio, del Kerygma, la morte e risurrezione di Gesù che si propone ancora oggi nella nostra vita come culmine dell’esperienza trinitaria: «È il fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre» (EG 164). Un primo annuncio che non va interpretato in senso cronologico ma esperienziale. Sottolinea ancora il Papa infatti che «Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti» (EG 164).
Ecco che allora il cammino sinodale diventa un percorso esperienziale in cui ciascuno come battezzato, e tutti insieme come comunità cristiana, si è chiamati a “leggere“ il personale “ascolto“. Un modo per ri-scoprire il senso della nostra fede, la bellezza della grazia cui siamo stati resi partecipi e fare in modo che questa bellezza diventi attrattiva. Mostrare la gioia dell’incontro con Cristo e fare di questo i tratti riconoscibili dell’originalità di ciascuno.
L’invito in questo cammino sinodale è che lo stesso non sia limitato allo scadenzario della CEI ma che coinvolga con pienezza la nostra esperienza di fede; è l’invito a gustare e testimoniare appieno nella nostra vita la novità del Vangelo.
È questo che fa la differenza, non la nostra adesione nominale a forme più o meno autentiche di fede vissuta.
Ritornare a gustare la bellezza sacramentale, la gioia della celebrazione eucaristica, il dialogo non frettoloso con le Sacre Scritture, la fraternità della prossimità, la pedagogia dell’accoglienza e dell’ascolto reciproco.
Sarebbe questo il modo migliore di prepararci al Giubileo del 2025. Come infatti evidenzia ancora Papa Francesco «In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (EG 169).
Non questionari da compilare ma un’agenda da vivere nel quotidiano: è questa l’esperienza sinodale che può autenticamente aiutarci a riconoscere l’azione dello Spirito e, con Lui, a ri-scoprirci Chiesa.
Vito Rizzo